giovedì 8 novembre 2007

L'omicidio fra le baracche di Tor di Quinto

Penso al recente omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto. Certo, come tutti dicono, ci sentiamo sempre meno sicuri. Chi mi salva, il giorno che magari in un parcheggio del supermercato, qualcuno mi tappa la bocca e mi porta via in una macchina?
Ma non è di questo che vorrei parlare, bensì di un particolare che mi ha colpito nel telegiornale serale, la sera dell'omicidio, dove venivano mostrate in carrellata le baracche (è un eufemismo definirle tali...) dove viveva il gruppo di Rumeni del quale anche chi ha ucciso Giovanna faceva parte. Si diceva: "nei prossimi giorni queste baracche saranno abbattute...". Tutti quei precari ammassi di lamiere e cartone, fra l'altro, sorgevano a pochi metri dall'Aniene.
Una domanda allora sorge spontanea: ci voleva il morto per accorgersi delle condizioni subumane nelle quali vivono persone che abbiamo comunque fatto entrare nel nostro paese? I provvedimenti presi da Cofferati a Bologna contro gli insediamenti abusivi, che hanno fatto stracciare le vesti a tanti demagoghi (anche di sinistra), non erano forse giusti? C'era in questo anche l'intento di sventare alluvioni e altri disastri annunciati.
Cosa si pensa che possa proliferare in situazioni così purulente e inumane, se non il crimine che un giorno esplode in tutta la sua efferatezza?
È davvero uno strano paese, il nostro: facciamo entrare migliaia di irregolari perché sono la manovalanza ideale per la mafia e per i nuovi caporali, li sistemiamo su brande sgangherate o per terra, ammucchiati in baracche, ci tappiamo il naso e gli occhi e li sfruttiamo al nero nei nostri cantieri, per la raccolta dei pomodori e anche per molto altro, dopodiché appena uno di questi "servi della gleba" deraglia completamente gridiamo allo scandalo e invochiamo la questione sicurezza.
Dobbiamo avere il coraggio di mettere il dito nella piaga, anche nella nostra, guardarci allo specchio e riconoscere quanto questi disgraziati ci fanno anche comodo, e quanto poco ci interessa veramente la condizione nella quale sono costretti a vivere in uno stato di diritto.