mercoledì 31 dicembre 2008

mercoledì 22 ottobre 2008

Discorso di Piero Calamandrei in difesa della Scuola nazionale - 11 febbraio 1950

“Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura.

Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle scuole private. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tenere d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi, ve l’ho già detto, per rovinare le scuole di stato.

Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico”.

mercoledì 1 ottobre 2008

Emanuel, Negro


Solo quest'immagine dà un'idea sufficiente della barbarie nella quale stiamo sprofondando.
Ringrazio Repubblica per la foto

mercoledì 24 settembre 2008

La misura è colma


Ecco un giochino da settimana enigmistica: TROVA LE DIFFERENZE: esercitatevi prego un po' con queste due immagini!
Ma bando agli scherzi. Solo una citazione, anzi due, dal libro più antico ed eterno del mondo, la Bibbia. La misura è colma, e, dopo 2000 anni da chi ha detto "ero straniero e mi avete accolto", ossia Cristo, i cristiani o quelli che si reputano tali fanno solo veglie di preghiera e riunioni che fanno sentire meno in colpa, ma tutti, tutti dico, continuiamo a tollerare la scandalosa schiavitù e sfruttamento di migliaia, milioni ormai di disgraziati che approdano nel nostro paese. Allora, vado con le citazioni.
Dal profeta ISAIA: (e chi parla è Dio, badate bene, pochi scherzi!)
"Sono sazio dei vostri numerosi sacrifici. Non so che farmene del sangue di tori e di agnelli e di capretti. Smettete di presentare offerte inutili, l`incenso che bruciate mi fa nausea; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportarli. I vostri noviluni e le vostre feste sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani per la preghiera, io guardo altrove. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni e dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l`oppresso, rendete giustizia all`orfano, difendete la causa della vedova."

e ancora dal profeta AMOS:
Contro gli sfruttatori
Ascoltate questo, voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese, voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo le misure e aumentando il siclo
e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano".
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
certo non dimenticherò mai le loro opere. Non forse per questo trema la terra,
sono in lutto tutti i suoi abitanti,
si solleva tutta come il Nilo,
si agita e si riabbassa come il fiume d`Egitto?
In quel giorno - oracolo del Signore Dio -
farò tramontare il sole a mezzodì
e oscurerò la terra in pieno giorno! Cambierò le vostre feste in lutto
e tutti i vostri canti in lamento:
farò vestire ad ogni fianco il sacco,
renderò calva ogni testa:
ne farò come un lutto per un figlio unico
e la sua fine sarà come un giorno d`amarezza.
Un giorno DOVREMO rendere conto.

lunedì 22 settembre 2008

Saviano, lettera a Gomorra tra killer e omertà

Non posso fare a meno di riportare per intero dalla pagina di Repubblica Il grido d'accusa di Roberto Saviano dopo la strage di Castel Volturno.
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I RESPONSABILI hanno dei nomi. Hanno dei volti. Hanno persino un'anima. O forse no. Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia, Emilio di Caterino, Pietro Vargas stanno portando avanti una strategia militare violentissima. Sono autorizzati dal boss latitante Michele Zagaria e si nascondono intorno a Lago Patria. Tra di loro si sentiranno combattenti solitari, guerrieri che cercano di farla pagare a tutti, ultimi vendicatori di una delle più sventurate e feroci terre d'Europa. Se la racconteranno così.

Ma Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia, Emilio di Caterino e Pietro Vargas sono vigliacchi, in realtà: assassini senza alcun tipo di abilità militare. Per ammazzare svuotano caricatori all'impazzata, per caricarsi si strafanno di cocaina e si gonfiano di Fernet Branca e vodka. Sparano a persone disarmate, colte all'improvviso o prese alle spalle. Non si sono mai confrontati con altri uomini armati. Dinnanzi a questi tremerebbero, e invece si sentono forti e sicuri uccidendo inermi, spesso anziani o ragazzi giovani. Ingannandoli e prendendoli alle spalle.

E io mi chiedo: nella vostra terra, nella nostra terra sono ormai mesi e mesi che un manipolo di killer si aggira indisturbato massacrando soprattutto persone innocenti. Cinque, sei persone, sempre le stesse. Com'è possibile? Mi chiedo: ma questa terra come si vede, come si rappresenta a se stessa, come si immagina? Come ve la immaginate voi la vostra terra, il vostro paese? Come vi sentite quando andate al lavoro, passeggiate, fate l'amore? Vi ponete il problema, o vi basta dire, "così è sempre stato e sempre sarà così"?

Davvero vi basta credere che nulla di ciò che accade dipende dal vostro impegno o dalla vostra indignazione? Che in fondo tutti hanno di che campare e quindi tanto vale vivere la propria vita quotidiana e nient'altro. Vi bastano queste risposte per farvi andare avanti? Vi basta dire "non faccio niente di male, sono una persona onesta" per farvi sentire innocenti? Lasciarvi passare le notizie sulla pelle e sull'anima. Tanto è sempre stato così, o no? O delegare ad associazioni, chiesa, militanti, giornalisti e altri il compito di denunciare vi rende tranquilli? Di una tranquillità che vi fa andare a letto magari non felici ma in pace? Vi basta veramente?

Questo gruppo di fuoco ha ucciso soprattutto innocenti. In qualsiasi altro paese la libertà d'azione di un simile branco di assassini avrebbe generato dibattiti, scontri politici, riflessioni. Invece qui si tratta solo di crimini connaturati a un territorio considerato una delle province del buco del culo d'Italia. E quindi gli inquirenti, i carabinieri e poliziotti, i quattro cronisti che seguono le vicende, restano soli. Neanche chi nel resto del paese legge un giornale, sa che questi killer usano sempre la stessa strategia: si fingono poliziotti. Hanno lampeggiante e paletta, dicono di essere della Dia o di dover fare un controllo di documenti. Ricorrono a un trucco da due soldi per ammazzare con più facilità. E vivono come bestie: tra masserie di bufale, case di periferia, garage.

Hanno ucciso sedici persone. La mattanza comincia il 2 maggio verso le sei del mattino in una masseria di bufale a Cancello Arnone. Ammazzano il padre del pentito Domenico Bidognetti, cugino ed ex fedelissimo di Cicciotto e' mezzanotte.

Umberto Bidognetti aveva 69 anni e in genere era accompagnato pure dal figlio di Mimì, che giusto quella mattina non era riuscito a tirarsi su dal letto per aiutare il nonno. Il 15 maggio uccidono a Baia Verde, frazione di Castel Volturno, il sessantacinquenne Domenico Noviello, titolare di una scuola guida. Domenico Noviello si era opposto al racket otto anni prima. Era stato sotto scorta, ma poi il ciclo di protezione era finito. Non sapeva di essere nel mirino, non se l'aspettava. Gli scaricano addosso 20 colpi mentre con la sua Panda sta andando a fare una sosta al bar prima di aprire l'autoscuola. La sua esecuzione era anche un messaggio alla Polizia che stava per celebrare la sua festa proprio a Casal di Principe, tre giorni dopo, e ancor più una chiara dichiarazione: può passare quasi un decennio ma i Casalesi non dimenticano.

Prima ancora, il 13 maggio, distruggono con un incendio la fabbrica di materassi di Pietro Russo a Santa Maria Capua Vetere. È l'unico dei loro bersagli ad avere una scorta. Perché è stato l'unico che, con Tano Grasso, tentò di organizzare un fronte contro il racket in terra casalese. Poi, il 30 maggio, a Villaricca colpiscono alla pancia Francesca Carrino, una ragazza, venticinque anni, nipote di Anna Carrino, la ex compagna di Francesco Bidognetti, pentita. Era in casa con la madre e con la nonna, ma era stata lei ad aprire la porta ai killer che si spacciavano per agenti della Dia.

Non passa nemmeno un giorno che a Casal di Principe, mentre dopo pranzo sta per andare al "Roxy bar", uccidono Michele Orsi, imprenditore dei rifiuti vicino al clan che, arrestato l'anno prima, aveva cominciato a collaborare con la magistratura svelando gli intrighi rifiuti-politica-camorra. È un omicidio eccellente che fa clamore, solleva polemiche, fa alzare la voce ai rappresentanti dello Stato. Ma non fa fermare i killer.

L'11 luglio uccidono al Lido "La Fiorente" di Varcaturo Raffaele Granata, 70 anni, gestore dello stabilimento balneare e padre del sindaco di Calvizzano. Anche lui paga per non avere anni prima ceduto alle volontà del clan. Il 4 agosto massacrano a Castel Volturno Ziber Dani e Arthur Kazani che stavano seduti ai tavoli all'aperto del "Bar Kubana" e, probabilmente, il 21 agosto Ramis Doda, venticinque anni, davanti al "Bar Freedom" di San Marcellino. Le vittime sono albanesi che arrotondavano con lo spaccio, ma avevano il permesso di soggiorno e lavoravano nei cantieri come muratori e imbianchini.

Poi il 18 agosto aprono un fuoco indiscriminato contro la villetta di Teddy Egonwman, presidente dei nigeriani in Campania, che si batte da anni contro la prostituzione delle sue connazionali, ferendo gravemente lui, sua moglie Alice e altri tre amici.

Tornano a San Marcellino il 12 settembre per uccidere Antonio Ciardullo ed Ernesto Fabozzi, massacrati mentre stavano facendo manutenzione ai camion della ditta di trasporti di cui il primo era titolare. Anche lui non aveva obbedito, e chi gli era accanto è stato ucciso perché testimone.

Infine, il 18 settembre, trivellano prima Antonio Celiento, titolare di una sala giochi a Baia Verde, e un quarto d'ora dopo aprono un fuoco di 130 proiettili di pistole e kalashnikov contro gli africani riuniti dentro e davanti la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion" di Castel Volturno. Muoiono Samuel Kwaku, 26 anni, e Alaj Ababa, del Togo; Cristopher Adams e Alex Geemes, 28 anni, liberiani; Kwame Yulius Francis, 31 anni, e Eric Yeboah, 25, ghanesi, mentre viene ricoverato con ferite gravi Joseph Ayimbora, 34 anni, anche lui del Ghana. Solo uno o due di loro avevano forse a che fare con la droga, gli altri erano lì per caso, lavoravano duro nei cantieri o dove capitava, e pure nella sartoria.

Sedici vittime in meno di sei mesi. Qualsiasi paese democratico con una situazione del genere avrebbe vacillato. Qui da noi, nonostante tutto, neanche se n'è parlato. Neanche si era a conoscenza da Roma in su di questa scia di sangue e di questo terrorismo, che non parla arabo, che non ha stelle a cinque punte, ma comanda e domina senza contrasto.

Ammazzano chiunque si opponga. Ammazzano chiunque capiti sotto tiro, senza riguardi per nessuno. La lista dei morti potrebbe essere più lunga, molto più lunga. E per tutti questi mesi nessuno ha informato l'opinione pubblica che girava questa "paranza di fuoco". Paranza, come le barche che escono a pescare insieme in alto mare. Nessuno ne ha rivelato i nomi sino a quando non hanno fatto strage a Castel Volturno.

Ma sono sempre gli stessi, usano sempre le stesse armi, anche se cercano di modificarle per trarre in inganno la scientifica, segno che ne hanno a disposizione poche. Non entrano in contatto con le famiglie, stanno rigorosamente fra di loro. Ogni tanto qualcuno li intravede nei bar di qualche paesone, dove si fermano per riempirsi d'alcol. E da sei mesi nessuno riesce ad acciuffarli.

Castel Volturno, territorio dove è avvenuta la maggior parte dei delitti, non è un luogo qualsiasi. Non è un quartiere degradato, un ghetto per reietti e sfruttati come se ne possono trovare anche altrove, anche se ormai certe sue zone somigliano più alle hometown dell'Africa che al luogo di turismo balneare per il quale erano state costruite le sue villette. Castel Volturno è il luogo dove i Coppola edificarono la più grande cittadella abusiva del mondo, il celebre Villaggio Coppola.

Ottocentosessantatremila metri quadrati occupati col cemento. Che abusivamente presero il posto di una delle più grandi pinete marittime del Mediterraneo. Abusivo l'ospedale, abusiva la caserma dei carabinieri, abusive le poste. Tutto abusivo. Ci andarono ad abitare le famiglie dei soldati della Nato. Quando se ne andarono, il territorio cadde nell'abbandono più totale e divenne tutto feudo di Francesco Bidognetti e al tempo stesso territorio della mafia nigeriana.

I nigeriani hanno una mafia potente con la quale ai Casalesi conveniva allearsi, il loro paese è diventato uno snodo nel traffico internazionale di cocaina e le organizzazioni nigeriane sono potentissime, capaci di investire soprattutto nei money transfer, i punti attraverso i quali tutti gli immigrati del mondo inviano i soldi a casa. Attraverso questi, i nigeriani controllano soldi e persone. Da Castel Volturno transita la coca africana diretta soprattutto in Inghilterra. Le tasse sul traffico che quindi il clan impone non sono soltanto il pizzo sullo spaccio al minuto, ma accordi di una sorta di joint venture. Ora però i nigeriani sono potenti, potentissimi. Così come lo è la mafia albanese, con la quale i Casalesi sono in affari.

E il clan si sta slabbrando, teme di non essere più riconosciuto come chi comanda per primo e per ultimo sul territorio. Ed ecco che nei vuoti si insinuano gli uomini della paranza. Uccidono dei pesci piccoli albanesi come azione dimostrativa, fanno strage di africani - e fra questi nessuno viene dalla Nigeria - colpiscono gli ultimi anelli della catena di gerarchie etniche e criminali. Muoiono ragazzi onesti, ma come sempre, in questa terra, per morire non dev'esserci una ragione. E basta poco per essere diffamati.

I ragazzi africani uccisi erano immediatamente tutti "trafficanti" come furono "camorristi" Giuseppe Rovescio e Vincenzo Natale, ammazzati a Villa Literno il 23 settembre 2003 perché erano fermi a prendere una birra vicino a Francesco Galoppo, affiliato del clan Bidognetti. Anche loro furono subito battezzati come criminali.

Non è la prima volta che si compie da quelle parti una mattanza di immigrati. Nel 1990 Augusto La Torre, boss di Mondragone, partì con i suoi fedelissimi alla volta di un bar che, pur gestito da italiani, era diventato un punto di incontro per lo spaccio degli africani. Tutto avveniva sempre lungo la statale Domitiana, a Pescopagano, pochi chilometri a nord di Castel Volturno, però già in territorio mondragonese. Uccisero sei persone, fra cui il gestore, e ne ferirono molte altre. Anche quello era stato il culmine di una serie di azioni contro gli stranieri, ma i Casalesi che pure approvavano le intimidazioni non gradirono la strage. La Torre dovette incassare critiche pesanti da parte di Francesco "Sandokan" Schiavone. Ma ora i tempi sono cambiati e permettono di lasciar esercitare una violenza indiscriminata a un gruppo di cocainomani armati.

Chiedo di nuovo alla mia terra che immagine abbia di sé. Lo chiedo anche a tutte quelle associazioni di donne e uomini che in grande silenzio qui lavorano e si impegnano. A quei pochi politici che riescono a rimanere credibili, che resistono alle tentazioni della collusione o della rinuncia a combattere il potere dei clan. A tutti coloro che fanno bene il loro lavoro, a tutti coloro che cercano di vivere onestamente, come in qualsiasi altra parte del mondo. A tutte queste persone. Che sono sempre di più, ma sono sempre più sole.

Come vi immaginate questa terra? Se è vero, come disse Danilo Dolci, che ciascuno cresce solo se è sognato, voi come ve li sognate questi luoghi? Non c'è stata mai così tanta attenzione rivolta alle vostre terre e quel che vi è avvenuto e vi avviene. Eppure non sembra cambiato molto. I due boss che comandano continuano a comandare e ad essere liberi. Antonio Iovine e Michele Zagaria. Dodici anni di latitanza. Anche di loro si sa dove sono. Il primo è a San Cipriano d'Aversa, il secondo a Casapesenna. In un territorio grande come un fazzoletto di terra, possibile che non si riesca a scovarli?

È storia antica quella dei latitanti ricercati in tutto il mondo e poi trovati proprio a casa loro. Ma è storia nuova che ormai ne abbiano parlato più e più volte giornali e tv, che politici di ogni colore abbiano promesso che li faranno arrestare. Ma intanto il tempo passa e nulla accade. E sono lì. Passeggiano, parlano, incontrano persone.

Ho visto che nella mia terra sono comparse scritte contro di me. Saviano merda. Saviano verme. E un'enorme bara con il mio nome. E poi insulti, continue denigrazioni a partire dalla più ricorrente e banale: "Quello s'è fatto i soldi". Col mio lavoro di scrittore adesso riesco a vivere e, per fortuna, pagarmi gli avvocati. E loro? Loro che comandano imperi economici e si fanno costruire ville faraoniche in paesi dove non ci sono nemmeno le strade asfaltate?

Loro che per lo smaltimento di rifiuti tossici sono riusciti in una sola operazione a incassare sino a 500 milioni di euro e hanno imbottito la nostra terra di veleni al punto tale di far lievitare fino al 24% certi tumori, e le malformazioni congenite fino all'84% per cento? Soldi veri che generano, secondo l'Osservatorio epidemiologico campano, una media di 7.172,5 morti per tumore all'anno in Campania. E ad arricchirsi sulle disgrazie di questa terra sarei io con le mie parole, o i carabinieri e i magistrati, i cronisti e tutti gli altri che con libri o film o in ogni altro modo continuano a denunciare? Com'è possibile che si crei un tale capovolgimento di prospettive? Com'è possibile che anche persone oneste si uniscano a questo coro? Pur conoscendo la mia terra, di fronte a tutto questo io rimango incredulo e sgomento e anche ferito al punto che fatico a trovare la mia voce.

Perché il dolore porta ad ammutolire, perché l'ostilità porta a non sapere a chi parlare. E allora a chi devo rivolgermi, che cosa dico? Come faccio a dire alla mia terra di smettere di essere schiacciata tra l'arroganza dei forti e la codardia dei deboli? Oggi qui in questa stanza dove sono, ospite di chi mi protegge, è il mio compleanno. Penso a tutti i compleanni passati così, da quando ho la scorta, un po' nervoso, un po' triste e soprattutto solo.

Penso che non potrò mai più passarne uno normale nella mia terra, che non potrò mai più metterci piede. Rimpiango come un malato senza speranze tutti i compleanni trascurati, snobbati perché è solo una data qualsiasi, e un altro anno ce ne sarà uno uguale. Ormai si è aperta una voragine nel tempo e nello spazio, una ferita che non potrà mai rimarginarsi. E penso pure e soprattutto a chi vive la mia stessa condizione e non ha come me il privilegio di scriverne e parlare a molti.

Penso ad altri amici sotto scorta, Raffaele, Rosaria, Lirio, Tano, penso a Carmelina, la maestra di Mondragone che aveva denunciato il killer di un camorrista e che da allora vive sotto protezione, lontana, sola. Lasciata dal fidanzato che doveva sposare, giudicata dagli amici che si sentono schiacciati dal suo coraggio e dalla loro mediocrità. Perché non c'era stata solidarietà per il suo gesto, anzi, ci sono state critiche e abbandono. Lei ha solo seguito un richiamo della sua coscienza e ha dovuto barcamenarsi con il magro stipendio che le dà lo stato.

Cos'ha fatto Carmelina, cos'hanno fatto altri come lei per avere la vita distrutta e sradicata, mentre i boss latitanti continuano a poter vivere protetti e rispettati nelle loro terre? E chiedo alla mia terra: che cosa ci rimane? Ditemelo. Galleggiare? Far finta di niente? Calpestare scale di ospedali lavate da cooperative di pulizie loro, ricevere nei serbatoi la benzina spillata da pompe di benzina loro? Vivere in case costruite da loro, bere il caffè della marca imposta da loro (ogni marca di caffè per essere venduta nei bar deve avere l'autorizzazione dei clan), cucinare nelle loro pentole (il clan Tavoletta gestiva produzione e vendita delle marche più prestigiose di pentole)?

Mangiare il loro pane, la loro mozzarella, i loro ortaggi? Votare i loro politici che riescono, come dichiarano i pentiti, ad arrivare alle più alte cariche nazionali? Lavorare nei loro centri commerciali, costruiti per creare posti di lavoro e sudditanza dovuta al posto di lavoro, ma intanto non c'è perdita, perché gran parte dei negozi sono loro? Siete fieri di vivere nel territorio con i più grandi centri commerciali del mondo e insieme uno dei più alti tassi di povertà? Passare il tempo nei locali gestiti o autorizzati da loro? Sedervi al bar vicino ai loro figli, i figli dei loro avvocati, dei loro colletti bianchi? E trovarli simpatici e innocenti, tutto sommato persone gradevoli, perché loro in fondo sono solo ragazzi, che colpa hanno dei loro padri.

E infatti non si tratta di stabilire colpe, ma di smettere di accettare e di subire sempre, smettere di pensare che almeno c'è ordine, che almeno c'è lavoro, e che basta non grattare, non alzare il velo, continuare ad andare avanti per la propria strada. Che basta fare questo e nella nostra terra si è già nel migliore dei mondi possibili, o magari no, ma nell'unico mondo possibile sicuramente.

Quanto ancora dobbiamo aspettare? Quanto ancora dobbiamo vedere i migliori emigrare e i rassegnati rimanere? Siete davvero sicuri che vada bene così? Che le serate che passate a corteggiarvi, a ridere, a litigare, a maledire il puzzo dei rifiuti bruciati, a scambiarvi quattro chiacchiere, possano bastare? Voi volete una vita semplice, normale, fatta di piccole cose, mentre intorno a voi c'è una guerra vera, mentre chi non subisce e denuncia e parla perde ogni cosa. Come abbiamo fatto a divenire così ciechi? Così asserviti e rassegnati, così piegati? Come è possibile che solo gli ultimi degli ultimi, gli africani di Castel Volturno che subiscono lo sfruttamento e la violenza dei clan italiani e di altri africani, abbiano saputo una volta tirare fuori più rabbia che paura e rassegnazione? Non posso credere che un sud così ricco di talenti e forze possa davvero accontentarsi solo di questo.

La Calabria ha il Pil più basso d'Italia ma "Cosa Nuova", ossia la ?ndrangheta, fattura quanto e più di una intera manovra finanziaria italiana. Alitalia sarà in crisi, ma a Grazzanise, in un territorio marcio di camorra, si sta per costruire il più grande aeroporto italiano, il più vasto del Mediterraneo. Una terra condannata a far circolare enormi capitali senza avere uno straccio di sviluppo vero, e invece ha danaro, profitto, cemento che ha il sapore del saccheggio, non della crescita.

Non posso credere che riescano a resistere soltanto pochi individui eccezionali. Che la denuncia sia ormai solo il compito dei pochi singoli, preti, maestri, medici, i pochi politici onesti e gruppi che interpretano il ruolo della società civile. E il resto? Gli altri se ne stanno buoni e zitti, tramortiti dalla paura? La paura. L'alibi maggiore. Fa sentire tutti a posto perché è in suo nome che si tutelano la famiglia, gli affetti, la propria vita innocente, il proprio sacrosanto diritto a viverla e costruirla.

Ma non avere più paura non sarebbe difficile. Basterebbe agire, ma non da soli. La paura va a braccetto con l'isolamento. Ogni volta che qualcuno si tira indietro crea altra paura, che crea ancora altra paura, in un crescendo esponenziale che immobilizza, erode, lentamente manda in rovina.

"Si può edificare la felicità del mondo sulle spalle di un unico bambino maltrattato?", domanda Ivan Karamazov a suo fratello Aljo?a. Ma voi non volete un mondo perfetto, volete solo una vita tranquilla e semplice, una quotidianità accettabile, il calore di una famiglia. Accontentarvi di questo pensate che vi metta al riparo da ansie e dolori. E forse ci riuscite, riuscite a trovare una dimensione in cui trovate serenità. Ma a che prezzo?

Se i vostri figli dovessero nascere malati o ammalarsi, se un'altra volta dovreste rivolgervi a un politico che in cambio di un voto vi darà un lavoro senza il quale anche i vostri piccoli sogni e progetti finirebbero nel vuoto, quando faticherete ad ottenere un mutuo per la vostra casa mentre i direttori delle stesse banche saranno sempre disponibili con chi comanda, quando vedrete tutto questo forse vi renderete conto che non c'è riparo, che non esiste nessun ambito protetto, e che l'atteggiamento che pensavate realistico e saggiamente disincantato vi ha appestato l'anima di un risentimento e rancore che toglie ogni gusto alla vostra vita.

Perché se tutto ciò è triste la cosa ancora più triste è l'abitudine. Abituarsi che non ci sia null'altro da fare che rassegnarsi, arrangiarsi o andare via. Chiedo alla mia terra se riesce ancora ad immaginare di poter scegliere. Le chiedo se è in grado di compiere almeno quel primo gesto di libertà che sta nel riuscire a pensarsi diversa, pensarsi libera. Non rassegnarsi ad accettare come un destino naturale quel che è invece opera degli uomini.

Quegli uomini possono strapparti alla tua terra e al tuo passato, portarti via la serenità, impedirti di trovare una casa, scriverti insulti sulle pareti del tuo paese, possono fare il deserto intorno a te. Ma non possono estirpare quel che resta una certezza e, per questo, rimane pure una speranza. Che non è giusto, non è per niente naturale, far sottostare un territorio al dominio della violenza e dello sfruttamento senza limiti. E che non deve andare avanti così perché così è sempre stato. Anche perché non è vero che tutto è sempre uguale, ma è sempre peggio.

Perché la devastazione cresce proporzionalmente con i loro affari, perché è irreversibile come la terra una volta per tutte appestata, perché non conosce limiti. Perché là fuori si aggirano sei killer abbrutiti e strafatti, con licenza di uccidere e non mandato, che non si fermano di fronte a nessuno. Perché sono loro l'immagine e somiglianza di ciò che regna oggi su queste terre e di quel che le attende domani, dopodomani, nel futuro. Bisogna trovare la forza di cambiare. Ora, o mai più.

Copyright 2008
by Roberto Saviano
Published by arrangement
of Roberto Santachiara
Literary Agency

(22 settembre 2008)

venerdì 19 settembre 2008

Il vero motivo della campagna A voi comunicare di Telecom

Qualcuno si potrà chiedere perché Telecom Italia insista nel riproporre su tutti i giornali, in Tv e sul Web il nuovo claim della sua campagna pubblicitaria "A voi comunicare", con Gandhi protagonista, con un blog aperto ai contributi dei navigatori, ricca di spunti umanitari e sociali, certamente supportata da un notevole sforzo economico.

Il motivo è molto semplice e ben poco umanitario e sociale: Telecom Italia è impegnata in questi giorni e fin dall'estate in un duro confronto sindacale sulla questione dei 5.000 dipendenti che l'azienda vuole mettere in mobilità e che potrebbero essere solo la prima tranche di un più consistente gruppo di dipendenti di cui sbarazzarsi.

Telecom non vive affatto l'emergenza Alitalia, non è alla canna del gas, anzi negli scorsi anni ha distribuito fin troppo generosi dividendi ai suoi azionisti e elevatissimi emolumenti ai suoi dirigenti. L'unica cosa in comune ad Alitalia in Telecom è l'attuale capo del personale, che per anni ha gestito le risorse umane Alitalia.

Pianificare una campagna pubblicitaria così imponente e costosa sui media, in un momento di crisi della raccolta pubblicitaria, significa per Telecom assicurarsi un buon "silenzio stampa" sulla vicenda esuberi... come sta puntualmente avvenendo sui media mainstream.

Ringrazio per la notizia www.zeusnews.it

martedì 9 settembre 2008

Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla

Il silenzio, il freddo silenzio si è infiltrato in Italia; sono mesi in cui non sembra più possibile l'indignazione, e ogni enormità viene ghiacciata sotto un leggero manto di neve, la neve dell'indifferenza. Ieri abbiamo dovuto vedere un ministro mettere sullo stesso piano la Repubblica di Salò e la Resistenza, subito dopo rimbeccato da Napolitano. Resistere all'esercito americano all'improvviso ha avuto l'identica valenza di resistere ai nazisti. Il giorno dopo al dibattito televisivo è stato detto che "quei giovani erano in buona fede". Allora, in nome della buona fede, è corretto commemorare anche le SS, oppure gli Squadroni della Morte di Pinochet. Sicuramente anche loro credevano di far bene. Un sottosegretario che non nomino si permette di passare con nonchalanche la spugna su quella che è stata una tragedia di morti, torturati, incarcerati, impiccati. Ma queste "piccole dosi di veleno", inoculate nella mente della gente annebbiata dal massiccio nulla televisivo non fanno che mangiarsi sempre di più la nostra memoria, una memoria doverosa verso chi a vent'anni non si faceva di pasticche o di alcol nelle discoteche, ma si è fatto fucilare per l'Italia, per il vero amore a questo paese. L'amore per il nostro paese, in realtà, non si sa più cos'è. A malapena c'è il fastidio di non arrivare a fine mese, ma poi... più nulla. E questa dissolvenza è l'offesa più grande e la condanna, un giorno, a ripetere amaramente questa storia dalla quale non si è imparato nulla. Torneranno i fantasmi, perché gli italiani amano essere comandati da un dittatore. Per non dimenticare, e perché non vinca il silenzio, qualcuno legga alcune delle ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza. Operai e contadini, magari con la terza elementare, ma sono andati a morire per un ideale.

venerdì 11 aprile 2008

Lapide ad ignominia

Le elezioni sono vicine, anzi alle porte. Il panorama è desolante, ha l'odore dei rifiuti della Campania, ma forse questo paragone la offende.
Comunque si voti, e comunque vada, non dimentichiamo a prezzo di che sacrifici è stata liberata e voluta questa Italia, che oggi tanti volgari ignoranti sporcano e umiliano per i propri biechi, bassi interessi.
Per le origini del brano che segue, ringrazio Wikipedia.

Albert Kesselring, che durante il secondo conflitto mondiale fu il comandante delle forze armate germaniche in Italia, a fine conflitto (1947) fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che l'esercito nazista aveva commesso ai suoi ordini (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e molte altre). Successivamente la condanna fu tramutata in ergastolo, ma egli venne rilasciato nel 1952 per le sue presunte gravi condizioni di salute. Tale gravità fu smentita dal fatto che Kesselring visse altri otto anni libero nel suo Paese, ove divenne quasi oggetto di culto negli ambienti neonazisti della Baviera.
Tornato libero, Kesselring sostenne di non essere affatto pentito di ciò che aveva fatto durante i 18 mesi nei quali tenne il comando in Italia ed anzi dichiarò che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento. In risposta a queste affermazioni Piero Calamandrei scrisse la celebre epigrafe "Lo avrai, camerata Kesselring...", il cui testo venne posto sotto una lapide ad ignominia che il comune di Cuneo ha dedicato a Kesselring, poi affissa anche nel comune di Montepulciano, in località Sant'Agnese.

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Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

domenica 10 febbraio 2008

Lettera aperta di Franca Rame al Presidente Prodi

Riporto questa lettera, che mi sembra incarni il sentimento di molti.
Per le fonti, il blog Voglio scendere di Corrias, Gomez e Travaglio e quello di Franca Rame.
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8 febbraio 2008, Roma

Gentile presidente Prodi,
mi scusi se la disturbo, ma non posso farne a meno: ho una domanda da porLe che riguarda un grosso problema morale a cui La prego cortesemente di rispondere. Sono giorni che con grande malessere e malinconia, mi ritrovo a ragionare da sola sul susseguirsi degli avvenimenti, cercando di ricostruire come si sia arrivati a questa catastrofica situazione. Per capirci qualcosa dobbiamo partire dall'inizio della storia, rivederci i passi salienti della XV legislatura.

Ricordo in quanti siamo andati alle urne sentendo il dovere di allontanare il rischio di un nuovo governo Berlusconi, e con lui tutte le sue leggi vergogna e il rosario di sciagure che ci ha imposto a proprio vantaggio. RitenendoLa persona onesta leale e capace, gli elettori confidavano nella realizzazione di almeno una buona parte delle 280 pagine del programma dell'Unione, dove già a pagina 18 si parla di conflitto d¹interessi.

Questa non era una vaga promessa ma un impegno sacrosanto che si assumeva coi Suoi elettori. Un impegno ribadito con forza subito dopo la vittoria elettorale, e prima di vestire la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne è passato del tempo, quasi due anni, ma di questo programma solo una parte ha visto la luce. Oltretutto, sui problemi più scottanti non si è neppure iniziato un dibattito, anzi si sono accantonati come si fa con i quesiti fastidiosi. Come mai? Da cosa è stato causato questo 'accantonamento' dei molti problemi? Io mi rifiuto assolutamente di ritenerLa un giocoliere da Porta a Porta, che fa contratti con gli italiani e poi se la ride alle loro spalle. Temo piuttosto che Lei non abbia potuto tener fede al Suo programma perché a qualcuno della coalizione di sinistra o, meglio, sinistra-centrodestra non andava bene.

Il Suo torto Presidente, mi permetta l'ardire e mi scusi, è stato quello di non denunciare subito, pubblicamente, le difficoltà in cui si veniva a trovare, a costo di recarsi in televisione e, a reti unificate, svelare la situazione, con un discorso tipo questo: "Mi rivolgo a voi, cittadini democratici che mi avete eletto vostro Presidente certi che avrei mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale. Promesse che era mia profonda intenzione attuare, ma purtroppo mi è stato impedito. Sto a Palazzo Chigi, sì, ma in una condizione che ben si potrebbe definire di 'libertà limitata'. I miei custodi sono coloro che non gradiscono cambiamenti sostanziali. Essi anelano piuttosto a poltrone, privilegi e affari. Ecco i nomi: ..." e doveva fare veramente i nomi, caro Presidente! Credo che Lei, Presidente, più di una volta abbia pensato veramente di dar fiato a questa denuncia, ma il senso di responsabilità e il timore per un futuro negativo per il Paese glieLo hanno impedito.

Però a questo punto, Lei non se ne può andare con un indice di gradimento che non si merita, come non merita che si provino sfiducia e senso d'ironia verso la Sua persona. Quante volte è stato insultato, disprezzato e profondamente offeso?

No, non può andarsene così, tra i lazzi di tanti rozzi-cafoni che ahimè ci accompagneranno negli anni futuri. La rispetto troppo per accettarlo.

Caro Presidente, lei ha il dovere, l'obbligo di riacquistare la credibilità e la considerazione che si merita. C'è una sola strada da percorrere, anche se faticosa. Ma lo deve al Paese: fuori i nomi di chi Le ha impedito di portare a termine gli obiettivi prefissati e soprattutto le subdole scantonate ricattatorie con le quali è stato indotto ad affossare le parti essenziali del programma. E' indispensabile che i Suoi elettori siano consci d'ogni pressione alla quale ha dovuto adattarsi e cedere. Dobbiamo sapere quali sono gli onorevoli che, sia in Parlamento che al Governo hanno materialmente fatto opposizione alla realizzazione di misure fondamentali per il cambiamento del nostro Paese.

È un diritto che ci spetta. E Lei, professor Prodi, questo atto ce lo deve. Non solo per onorare la nostra lealtà ma anche la Sua. Il suo silenzio è sicuramente un gesto di fair play nei confronti dei suoi avversari, ma in questo modo ci lascia nelle loro mani!

Chi Le ha imposto quel numero spropositato di sottosegretari, ministri con portafoglio e senza portafoglio?
Chi si è opposto all'abbattimento dei costi della politica?
Chi ha bloccato, nei fatti, la più severa applicazione della riforma in materia di sicurezza sul lavoro?
Chi sono le persone che hanno vanificato la realizzazione dei Dico?
Chi ha voluto la vergogna dell'indulto di tre anni?
Chi le ha tirato la giacchetta per tentare di portare a termine una legge-bavaglio sulle intercettazioni?
Chi ha voluto il commissario De Gennaro a Napoli, il super-poliziotto di buona memoria alcuna in materia di gestione dei rifiuti?
Chi si è messo di traverso per bloccare la tassazione delle rendite finanziarie?
Chi ha impedito un serio confronto sulle missioni all'estero? E sulla base di Vicenza?
Chi Le ha fatto ingoiare l'accettazione di quel impegno capestro?
Tutte scelte soltanto Sue?
Ma chi ci può credere?!
Come diceva Socrate: "Solo rovesciando la tunica lisa si può leggere con chiarezza la storia di chi l'indossava".

Quindi sarebbe davvero utile che Lei spiegasse pubblicamente a tutti i cittadini italiani le vere ragioni che hanno portato prima al giornaliero logoramento e poi alla caduta del Governo da Lei presieduto. Non può tacere i motivi veri della crisi, altrimenti permetterebbe che coloro che hanno deliberatamente affossato il Suo Esecutivo, possano tranquillamente continuare ad abbattere qualsiasi tentativo serio di modificare la situazione di grave deterioramento, politico, economico e sociale, del nostro Paese.

E non mi riferisco soltanto a responsabilità dell'opposizione ben organizzata (questo è il mestiere del polo conservatore!) ma piuttosto al tradimento messo in atto da elementi di governo in combutta con ambigui faccendieri. Se non si assume, una volta per tutte, il coraggio politico di fare chiarezza, ci troveremo come sempre a roteare nel cerchio dell'ignavia, dal quale non si uscirà mai. Le avvisaglie di questo torbido clima, che alla fine ci ha portato alla débâcle, ci erano apparse palesi fin dall'inizio di questa Legislatura: dal primo giorno in Senato, quando dovevamo eleggerne il Presidente.

Si ricorda le tre votazioni andate a vuoto? Tre votazioni! Per tre volte i Suoi senatori, sbagliavano il nome o il cognome: Franco Marini (il prescelto) con Ignazio Marino con l'aggiunta di schede bianche. Insomma, i numeri non c'erano. La seduta è finita a tarda notte senza nulla di fatto. Quando, novella senatrice, chiedevo: "Ma che sta succedendo? Come può accadere che sbaglino? Non è difficile!", mi si rispondeva: "Qualcuno della nostra coalizione manda messaggi: richieste rivolte al Presidente del Consiglio. Vogliono qualcosa, stanno bussando e attendono risposta come a tre sette! Finché non l'avranno ottenuta, niente Presidente!". "Ho capito!" ­ho esclamato.­ E' un gioco al ricatto! Mio Dio, ma dove sono capitata?! E' questa la politica?"

Se tanto mi dà tanto mi domandavo: quante telefonate in codice avrà ricevuto, Presidente, e pressioni, e messaggi: "Io do, tu mi dai; noi ti appoggiamo, tu ci favorisci. Quanti sottosegretari sei disposto a sistemarci? Quanti ministeri? Quali favori?". Insomma, la solita danza da pochade con porte, portoni e portali che si aprono e chiudono in tempo e contrattempo. Temo che tutto quanto è successo sotto i miei occhi da neofita stupita, in questi 23 mesi si sia ripetuto a tormentone: "O mi favorisci o mi astengo e tu inciampi e vai giù piatto a terra".
La partita è chiusa, d'accordo.
E che facciamo? Ce ne andiamo mesti per non aver reagito con solerzia all'andazzo del prender tempo nella speranza d'arrangiare ogni situazione? Io non credo si possa rimontare da sotterrati. So che è duro, ma questo è il tempo di non accettare supinamente, senza un moto di orgoglio, d'esser gettati nella discarica dei refuses politici e soprattutto è ora di denunciare le responsabilità di chi all'interno della coalizione ha remato contro, trascinando il Paese a questa rovina, evitando di incolpare la malasorte che sghignazza sempre nell'angolo basso della storia.

Ora è "solo" Presidente. E' il Suo momento. Lei deve finalmente parlare. Deve dare una risposta decisa alla domanda che in tanti Le poniamo: "Perché non ha reagito alle imposizioni ricattatorie da subito? Perché non si è impegnato con tutte le sue forze e sul conflitto d'interessi e sulle leggi vergogna?".

Attendiamo in TANTI una risposta.
Con stima,
Franca Rame

sabato 2 febbraio 2008

In un volto che ci somiglia...viaggio nella Costituzione

venerdì 1° febbraio Rai Due palcoscenico ha trasmesso In un volto che ci somiglia...viaggio nella Costituzione. Finalmente un vero squarcio di tv alta e impegnata: uno spettacolo che va oltre il teatro, un ipertesto che dimostra la sua versatilità anche nell’avvicendarsi di grandi interpreti: Monica Guerritore, Umberto Orsini, Massimo Popolizio, e prima ancora Paola Cortellesi e Luca Zingaretti.
Ragionare sulla Costituzione significa intraprendere un viaggio alle fonti del liberalismo e della democrazia, ben sapendo che quella del viaggio é un’esperienza fondamentale della politica moderna: basti pensare al viaggio nelle istituzioni americane di Tocqueville o a quello elettorale di De Sanctis o al viaggio in motocicletta del giovane Ernesto Guevara, per non dire del viaggio elettorale di Günther Grass, al seguito di Willy Brandt, nella Germania della guerra fredda e dell’Ostpolitik. E ancora Carlo Levi, con il suo andare per città e campagne, attraverso le “mille patrie” della penisola, a ritrovare “nell’aspetto dell’Italia, non soltanto le infinite realtà particolari, le innumerevoli vite individuali e il tessuto dell’esistenza, ma tutta la memoria in un volto che ci somiglia...".
Riporto dunque il discorso sulla Costituzione di Calamandrei, del quale nello spettacolo sono stati riportati molti brani. Ringrazio per le fonti il sito dell'Associazione culturale La terza isola, che ha contribuito alla realizzazione dello spettacolo.
È possibile vedere il video dello spettacolo sul sito della Rai.
Nel caso non riusciate a vedere il video è possibile scaricare il plugin dalla pagina del sito di Firefox.


Piero Calamandrei (1889-1956), discorso agli studenti milanesi (1955)



La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo. «La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino ipaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegiare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn’è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono... Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai.

E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perchè questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica...

Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sepere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane...

E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie... ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8:«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubbllica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!

O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani...

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa cartra. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti.

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.