martedì 9 settembre 2008

Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla

Il silenzio, il freddo silenzio si è infiltrato in Italia; sono mesi in cui non sembra più possibile l'indignazione, e ogni enormità viene ghiacciata sotto un leggero manto di neve, la neve dell'indifferenza. Ieri abbiamo dovuto vedere un ministro mettere sullo stesso piano la Repubblica di Salò e la Resistenza, subito dopo rimbeccato da Napolitano. Resistere all'esercito americano all'improvviso ha avuto l'identica valenza di resistere ai nazisti. Il giorno dopo al dibattito televisivo è stato detto che "quei giovani erano in buona fede". Allora, in nome della buona fede, è corretto commemorare anche le SS, oppure gli Squadroni della Morte di Pinochet. Sicuramente anche loro credevano di far bene. Un sottosegretario che non nomino si permette di passare con nonchalanche la spugna su quella che è stata una tragedia di morti, torturati, incarcerati, impiccati. Ma queste "piccole dosi di veleno", inoculate nella mente della gente annebbiata dal massiccio nulla televisivo non fanno che mangiarsi sempre di più la nostra memoria, una memoria doverosa verso chi a vent'anni non si faceva di pasticche o di alcol nelle discoteche, ma si è fatto fucilare per l'Italia, per il vero amore a questo paese. L'amore per il nostro paese, in realtà, non si sa più cos'è. A malapena c'è il fastidio di non arrivare a fine mese, ma poi... più nulla. E questa dissolvenza è l'offesa più grande e la condanna, un giorno, a ripetere amaramente questa storia dalla quale non si è imparato nulla. Torneranno i fantasmi, perché gli italiani amano essere comandati da un dittatore. Per non dimenticare, e perché non vinca il silenzio, qualcuno legga alcune delle ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza. Operai e contadini, magari con la terza elementare, ma sono andati a morire per un ideale.